E’ stato avviato il 21 marzo u.s. al Ministero della Salute il tavolo permanente di confronto sulle politiche del SSN che le Federazioni degli Ordini delle Professioni Sanitarie avevano chiesto nella maxi-assemblea del 23 febbraio scorso “L’avvio del tavolo di lavoro permanente dove potersi regolarmente confrontare come professioni sulle politiche sanitarie, rappresenta sicuramente una tappa essenziale per disegnare il nuovo modello di assistenza di cui ha bisogno il Servizio sanitario pubblico e di questo va dato atto e di questo la ringraziamo, al ministro della Salute Giulia Grillo che ha subito recepito e messo in atto le richieste delle professioni (in rappresentanza di 1,5 milioni di professionisti sanitari) riunite il 23 febbraio scorso nella loro prima assemblea congiunta a Roma. Siamo convinti che politiche sanitarie pubbliche condivise con gli attori del sistema siano la vera chiave per il cambiamento che serve al Servizio sanitario nazionale: su questo il ministro potrà contare sul sostegno attivo degli infermieri”. Così commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), la più numerosa d’Italia con i suoi oltre 450mila iscritti, la prima riunione del tavolo di lavoro permanente tra professioni e Governo che si è tenuta al ministero della Salute. Il quadro generale delle priorità per le professioni si è fatto ancora più incalzante. Non solo in base alle richieste delle professioni che chiedono di essere coinvolte in sede tecnica quali attori del sistema salute in modo da condividere documentazioni e approfondimentiattualmente in corso sul regionalismo differenziato, sul Patto della Salute che va a incidere su temi fondanti a diversi livelli, in quanto portatori non solo di competenze specifiche ma anche di conoscenze delle criticità gestionali dell’attuale impianto ordinamentale che richiederebbe correttivi e revisioni. Obiettivo di tutti è ridurre le disuguaglianze in sanità. E chiedono che la legge n.3/18 (legge Lorenzin) riprenda con urgenza il percorso di attuazione attraverso l’emanazione dei decreti attuativi previsti che costituiscono di fatto importanti step nella ridefinizione dello svolgimento delle attività istituzionali degli Ordini. Dopo la verifica che ad esempio con Quota 100 alla carenza ormai decennale di almeno 53mila infermieri potrebbero aggiungersene infatti altri 22mila a stretto giro e da qui al 2025 si rischierebbe di superare quota 150mila: oltre il 55% di tutte “le uscite” dei professionisti sanitari. Ma anche per la necessità di disegnare il nuovo Patto per la salute, per ora in stallo per il confronto Governo-Regioni e di chiarire il futuro non solo economico, ma di garanzia di erogazione dei Livelli essenziali di assistenza delle Regioni che potrebbero restare al di fuori di un eventuale regionalismo differenziato. Sul versante infermieristico – oltre il 40% della forza lavoro del servizio pubblico – Mangiacavalli sottolinea che “…l’infermiere è il più vicino al paziente che segue 24 ore su 24 in ricovero e a domicilio. Ma non allo stesso modo in tutte le Regioni.” Due dati – prosegue – per comprendere: il rapporto infermieri pazienti che studi internazionali indicano come ottimale per abbattere la mortalità del 20% è di 1:6. In Italia abbiamo Regioni che sono a 1:17 (la Campania ad esempio, che con le uscite di Quota 100 rischia di veder innalzato il rapporto anche fino a 1:20) e altre a 1:8 come il Friuli-Venezia Giulia. La carenza di infermieri, soprattutto sul territorio e quindi accanto ai più fragili e bisognosi di assistenza continua è di circa 50-53mila unità, a cui si potrebbero aggiungere prestissimo le 22mila uscite di Quota 100, ma ci sono Regioni dove i numeri sono a posto e Regioni dove l’assenza di organici è pesante e mette l’assistenza a rischio (in Campania sono circa il 48% in meno di quelli necessari, sono il 55% in meno in Calabria e il 56% in Sicilia). L’Italia si deve uniformare in questo, non dividere ulteriormente: la sanità ha bisogno degli infermieri!”. “In questo modo – prosegue – anche l’introduzione della figura innovativa dell’infermiere di famiglia e comunità a fianco del medico di medicina generale soprattutto per assistere le nuove cronicità e i bisogni legati all’aumento dell’età della popolazione – voluta fortemente anche dai cittadini – non può essere omogenea: al Nord infatti ci sono già esperienze e modelli affermati, al Sud gli infermieri sono troppo pochi anche solo per assistere i pazienti in ricovero, figuriamoci sul territorio”. Attualmente nel nostro Paese si stima che si spendano, complessivamente, circa 66,7 miliardi per la cronicità; stando alle proiezioni effettuate sulla base degli scenari demografici futuri elaborati dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) e ipotizzando una prevalenza stabile nelle diverse classi di età, nel 2028 spenderemo 70,7 miliardi di euro. E le cronicità si acuiscono anche secondo le aree geografiche. “Anche per questo gli infermieri vogliono dare un contributo ancora maggiore al miglioramento della salute – ha detto -. Nel XXI secolo – conclude Mangiacavalli – vedremo più comunità e servizi a domicilio, una migliore tecnologia e la cura centrata sulla persona: gli infermieri saranno in prima linea in questi cambiamenti e per questo devono imparare a essere leader perché tutte queste qualità le hanno già sviluppate e fanno parte della loro vocazione e della loro professionalità: una nuova epidemiologia richiede nuovi modelli di assistenza e, per questi, c’è già il nuovo infermiere che deve essere specializzato e presente h24 sul territorio. Ma deve essere disponibile ovunque e in tutte le Regioni senza carenze e in modo omogeneo”. Documento unitario Federazioni Professioni Pagina aggiornata il 23/03/2019